Non ci soffermeremo molto su questo capitolo dato che non cè stata la scelta dei materiali per le analisi svolte, i materiali usati erano quelli più adatti tra quelli che erano a disposizione. Lenormità delle colonne, delle fasi stazionarie e mobili sono di tale rilevanza che sembra inutile provare a descriverle tutte, mentre ci limiteremo a quelli da noi utilizzati.
3.1 Fasi stazionarie liquide per GLC
In GLC la fase stazionaria liquida viene trattenuta ancorandola su di un supporto solido inerte. Come prima cosa perciò vedremo quali sono i materiali più comunemente impiegati come supporti esamineremo poi le diverse fasi liquide ed infine le caratteristiche del sistema completo supporto-fase stazionaria liquida (liquido di ripartizione).
Il supporto per GLC deve possedere una serie di requisiti tra cui generalmente:
a) Inerzia chimica. Ciò assicura la sua non interferenza nel processo cromatografico.
b) Resistenza meccanica e termica. in modo da non pregiudicare un impaccamento ottimale della colonna.
c) Buona bagnabilità da parte del liquido di ripartizione che si deve depositare nel modo migliore possibile, sotto forma di film sottile.
d) Bassa resistenza al flusso del gas.
Disponibilità sotto forma di particelle che siano il più possibile sferiche.
Terra di diatomee
Si tratta del materiale più comune, è noto anche sotto il nome di diatomite o Kieselguhr o sotto altre denominazioni commerciali come Celite o Embacel. I supporti di maggiore diffusione per GLC a base di terra diatomee, sono senza dubbio i Chromosorb, anche se sono disponibili in commercio diversi materiali analoghi
Teflon
Il teflon viene utilizzato sotto forma di polvere a granulometrie diverse nei casi in cui si ha a che fare con sostanza molto polari e reattive, oppure quando non è possibile impiegare altri materiali. Presenta area superficiale notevolmente inferiore agli altri supporti e consente efficienze più basse in quanto accetta solo piccole percentuali di liquido di ripartizione.
Microsfere di vetro
Questo tipo di supporto ha un potere assorbente molto basso, praticamente nessuna porosità ed una grande uniformità dimensionale. La percentuale massima di liquido depositabile si aggira attorno allo 0,5%, anche se normalmente si utilizzano percentuali più basse (0,1%). Le microsfere di vetro si rivelano particolarmente utili nella separazione di liquidi altobollenti.
3.1.2 Criteri di scelta dei liquidi di ripartizione
I criteri generali per la scelta sono sostanzialmente tre:
a) Per miscele di sostanze a polarità analoga, ma con punti ebollizione abbastanza diversi non è necessario che la fase stazionaria sia particolarmente selettiva, per cui se ne impiega una apolare: in questo modo i composti usciranno secondo volatilità via via decrescenti.
b) Per miscele costituite da sostanze a polarità molto diverse, ma con punti di ebollizione vicini, si possono usare sia liquidi di ripartizione polari che apolari Infatti con fasi polari sarà il componente polare a venire maggiormente trattenuto, data la sua maggiore affinità con la fase stazionaria. Impiegando invece un liquido di ripartizione apolare, sarà la sostanza polare ad uscire per prima perché verrà resa più volatile dall'interazione con la fase stazionaria. Infatti i suoi forti legami di tipo dipolo-dipolo o a ponte idrogeno che trattengono le molecole unite fra loro vengono inquinati dai più deboli legami di tipo dipolo-dipolo indotto o forze di Van der Waals che si instaurano con la fase stazionaria.
Ad esempio, Lo squalano separa perfettamente l'etanolo dall'esano trattenendo maggiormente quest'ultimo.
c) Per miscele contenenti contemporaneamente sostanze non polari e sostanze non polari ma polarizzabili (ad es. esano-benzene) si utilizzano fasi molto polari. Queste ultime infatti polarizzano il composto aromatico stabilendo legami del tipo dipolo-dipolo indotto, mentre non trattengono l'esano che è assolutamente apolare.
Per tutte le situazioni intermedie (che spesso sono le più reali) e necessario affidarsi soprattutto all'esperienza, concentrando comunque l'attenzione su fasi in grado di esaltare al massimo le differenze (polarità, polarizzabilità) tra le molecole.
Un volta scelta la natura del film liquido da depositare sul supporto solido, e necessario decidere la percentuale del primo rispetto al totale (liquido + solido). Come criterio generale, si fa riferimento comunque alla volatilità dei campioni.
Le fasi stazionarie anche essendo liquide in GLC sono fissate chimicamente al supporto. Questo accorgimento è fondamentale in gascromatografia per evitare che il liquido possa abbandonare la colonna inquinando lanalisi. Tuttavia le fasi legate, in GLC, hanno ancora un utilizzo limitato, soprattutto nelle colonne impaccate, mentre nelle le capillari possiamo citare alcuni materiali principali attualmente in commercio.
- Ultrabond (RFR Corporation). Sono costituiti da Carbowax 20M o PEGS (polietilenglicole succinato), legati chimicamente su Chromosorb W. Vanno utilizzati con carrier assolutamente esenti da ossigeno.
- Durapak. Si ottengono legando chimicamente il n-ottano su Porasil C (gel di silice). Sono adatti per la separazione di idrocarburi altobollenti.
- Bondapak. Differiscono dai precedenti in quanto al Porasil C viene legato un gruppo ottadecile (C18).
- Serie CB della Chrompack
Si tratta di colonne capillari in silice fusa sulla cui parete interna vengono legate chimicamente fasi di tipo non polare come la Cp 5 e 8, o di media e alta polarità, come le Cp Sil 19 e le Cp Wax 52.
Più precisamente, la Cp Sil 19 CB sostituisce l'OV-17 mentre la Cp Wax 52CB dà prestazioni analoghe alle colonne capillari riempite con Carbowax.
- Serie SPB e Supelcowax della Supelco.
Anch'esse sono colonne capillari in silice fusa. Le prime sono rivestite di un film relativamente sottile ( 1 m m) di fase stazionaria siliconica legata chimicamente. Le seconde sono rivestite da fasi polari legate. Ad esempio la Supelcowax 10 è una colonna in silice fusa legata internamente al Carbowax PEG 20M, che la rende simile alla comune Carhowax 20M, pur avendo un più ampio intervallo di temperature operative (50-280°C).
I vantaggi pratici rappresentati da questi materiali riguardano la grande riproducibilità, la riduzione dei periodi di condizionamento e la possibilità di lavorare a temperature più alte delle corrispondenti colonne non-legate. Anche la durata è nettamente superiore (specie nel campo delle colonne capillari), visto che si può lavare la colonna con opportuni solventi.
La fase mobile (carrier) deve avere unalta inerzia chimica e solitamente viene scelto in base al tipo di rivelatore usato per lanalisi.
Le principali caratteristiche di un gas di trasporto, in base alle quali effettuare una scelta, sono: il costo, la purezza, linerzia chimica, la densità e viscosità e la compatibilità con il rivelatore
- Azoto. Possiede requisiti generalmente validi, è utilizzato quando la tecnica di rivelazione non richieda una scelta diversa.
- Idrogeno. Particolarmente utilizzato con rivelatori HWD e FID, grazie alla sua buona conducibilità termica e al fatto che è combustibile. Richiede però particolari accorgimenti antinfortunistici; oggi sono comunque disponibili strumenti in grado di segnalare eventuali pericoli.
- Elio. Notevolmente inerte chimicamente, è per Io più usato con rivelatori HWD o (ma più raramente) a ionizzazione.
- Argo. Più denso dell'elio, è utilizzato di preferenza con rivelatori a ionizzazione.
- Anidride Carbonica. Essendo facilmente adsorbibile. ad esempio in una soluzione di alcali. può essere eliminata rapidamente e completamente quando la tecnica di rivelazione Io richieda.
3.4.1 COLONNE IMPACCATE
Le colonne impaccate sono state le prime ad essere utilizzate in gascromatografia e sfruttano ancora oggi i fenomeni di ripartizione, di adsorbimento, di scambio ionico e sempre più raramente di esclusione.
Le colonne di questo tipo sono oramai sempre più declassate, lo si può notare anche dalla loro ristretta gamma di variazioni rispetto agli altri accessori dello strumento e soprattutto rispetto alle colonne capillari. Tuttavia conservano ancora un posto di rilievo per lanalisi qualitativa di alcuni composti per la loro maggiore capacità di campione.
3.4.2 COLONNE CAPILLARI
Migliorare le prestazioni di un sistema cromatografico significa trovare il giusto equilibrio risoluzione / tempo, tenendo presente il problema della capacità della colonna. Si può agire sulla fase mobile e su quella stazionaria (modificando così il coefficiente di distribuzione K e il grado di selettività a) oppure intervenire su altre grandezze come la geometria della colonna, il tipo di impaccamento e così via.
Per migliorare le prestazioni si è tentato di depositare un sottile film di liquido di ripartizione all'interno di un tubo capillare (come mostrato in seguito dalla figura). Questo tipo di colonne, denominate W.C.O.T. (Wall Coated Open Tubular) consente, grazie all'agevole contatto gas/liquido una più rapida diffusione del campione nella fase stazionaria. D'altra parte, siccome il gas corre lungo il canale centrale della colonna, lasciato libero dalla fase stazionaria, ne consegue una permeabilità molto maggiore. cioè una ridotta resistenza al flusso del gas di trasporto: ciò permette di realizzare colonne nettamente più lunghe e perciò più efficienti di quelle convenzionali impaccate. La seconda soluzione, presentata qualche anno più tardi, prevedeva di depositare un sottilissimo film di liquido di ripartizione su uno strato di supporto poroso, a granulometria molto fine, facendo aderire il tutto alle pareti interne del tubo capillare (riferirsi alla figura sotto), le colonne così costruite vengono denominate S.C.O.T. (Support Coated Open Tubular). Una variante consiste nel depositare, con tecniche opportune, una fase stazionaria porosa sulle pareti, in modo da realizzare una cromatografia di adsorbimento: le colonne di questo tipo sono dette P.L.O.T. (Porous Layer Open Tubular).
Le S.C.O.T. e le P.L.O.T. offrono il fondamentale vantaggio di possedere una maggiore superficie di contatto gas - fase stazionaria. Nel caso delle S.C O.T. la quantità di fase stazionaria depositata è maggiore, ma in film più sottili, rispetto alle W.C.O.T. Tutto questo permette di aumentare la capacità della colonna e di migliorare le prestazioni.
La tecnologia di produzione delle colonne capillari ha avuto in questi ultimi anni uno sviluppo enorme. In pratica una stessa fase stazionaria può trovarsi in commercio in un gran numero di assemblaggi ognuno dei quali offre prestazioni specifiche.
Le lunghezze delle colonne variano dai 15 ai 100 metri, mentre il diametro interno si aggira tra i 0,25 e 0,75 mm. Le W.C.O.T. a parità di diametro interno possono avere spessori di fase stazionaria variabile.
Per comodità di classificazione, sono state denominate W.S.C.O.T (Wall Coated Superior Capacity Open Tubular) (vedere figura) le colonne a foro largo e con spessore interno del film nettamente più alto di quelle tradizionali. Queste colonne sono per molti versi intermedie fra le W.C.O.T. e le S.C.O.T., tuttavia in certi casi offrono prestazioni superiori, il che giustifica in qualche modo la denominazione. I materiali con cui le colonne capillari vengono realizzate sono l'acciaio inox, il nichel, il vetro e la silice fusa (quarzo). Quest'ultima ha il notevole vantaggio di essere molto meno fragile del vetro, pur possedendo la stessa inerzia chimica. Infine, le fasi stazionarie ed i gas di trasporto utilizzati sono praticamente gli stessi delle colonne tradizionali.
In conclusione, le colonne capillari si differenziano da quelle convenzionali impaccate per via delle loro diverse caratteristiche dinamiche, associate alla geometria ed alla particolare collocazione della fase stazionaria.